Con il termine “welfare” si definisce la questione essenziale di un’efficiente e più equa redistribuzione delle risorse per assicurare a tutti, secondo il modello universalistico, la migliore protezione sociale e sanitaria possibile. Per questo fine nascono i Fondi sanitari contrattuali, come il nostro Fasi, che ha assicurato negli ultimi quarant’anni ai suoi associati una buona qualità di vita e di salute. Un risultato dovuto sicuramente alla gestione oculata delle risorse, ma anche allo sviluppo dell’intera società italiana sia dal punto di vista economico che sociale.
Un’evoluzione positiva che rischia di franare a seguito della perdurante crisi che attanaglia il nostro Paese. Il problema vero dell’Italia, infatti, riguarda essenzialmente la crescita. Non se ne parla, ci avviluppiamo in discussioni politiche astruse, perdendo di vista l’aspetto fondamentale: senza crescita economica e industriale non c’è futuro.
Se invece di attardarsi su come tagliare i bilanci, i servizi sanitari e sociali, si affrontasse con una terapia d’urto il problema della crescita, verrebbero meno molte polemiche politiche. Per fare questo è necessario rilanciare la cultura d’impresa, assicurare cioè le migliori condizioni affinché le imprese crescano, producano valore e occupazione innalzando il Pil e, di conseguenza, la tenuta generale dei conti del Paese. Solo se c’è crescita economica, infatti, si può assicurare un nuovo welfare che possa integrare con le risorse private l’offerta pubblica che è in piena stagnazione.
E’ un dato di fatto: basta guardare agli indicatori economici per capire che in Italia quello che manca è una politica in grado di promuovere la crescita delle attività produttive. Assistiamo, da anni, al perpetuarsi di una visione burocratica dell’impresa costretta ad impegnare tempo e risorse per fare fronte a difficoltà e ostacoli legislativi, fiscali, ordinamentali che imprigionano l’iniziativa imprenditoriale.
Si parla, demagogicamente, di ridistribuzione delle risorse dimenticando che prima di pensare a come ridistribuirle, le risorse vanno prodotte. L’allarme lanciato da economisti e sociologi, che vedono con preoccupazione il prossimo futuro, nel quale saranno più i pensionati che lavoratori attivi, resta inascoltato.
Eppure se non ci sarà più produzione di reddito, la “torta” da dividere sarà sempre più piccola.
Assistiamo a comportamenti sul tema “lavoro” che sembrano suggerire un approccio passivo quasi che la risoluzione dei problemi passasse attraverso la riduzione dell’orario di lavoro, dell’impegno, delle attività ( il riferimento al reddito di cittadinanza non è casuale). E’ vero esattamente il contrario: la sostenibilità di un nuovo welfare per il 21° secolo passa necessariamente per la crescita del nostro sistema economico e sociale.
Nel Rapporto Welfare Italia 2019, presentato dallo Studio Ambrosetti nei giorni scorsi, si ricorda che, complessivamente, il segmento della sanità integrativa coinvolge 12,6 milioni di beneficiari nel 2018 (la spesa sanitaria privata ammonta a 40 miliardi di euro), mentre gli aderenti a forme di previdenza complementare sono circa 7,9 milioni, pari al 30% della forza lavoro. L’aumento della speranza di vita è cresciuta in media di 1,7 anni dal 2008 ad oggi, al contrario del tasso di natalità precipitato del 25%, la forbice, come si vede, si allarga sempre più.
Dal punto di vista demografico siamo di fronte a un problema epocale che investe, come abbiamo già sottolineato più volte, la sostenibilità stessa della sanità integrativa in Italia. La fotografia tendenziale al 2050, scattata dal Rapporto Ambrosetti, ci mostra un modello di welfare molto diverso da quello esistente: ci saranno 36.000 nascite annue in meno e 2,9 milioni di anziani non autosufficienti in più. E’ necessario un intervento immediato per modificare questo trend integrando i diversi attori (pubblico, privato, no-profit e Unione Europea) per offrire ai cittadini le migliori e più moderne risposte universalistiche di protezione sociale. Insomma una ricalibratura del sistema welfare rispetto ai nuovi bisogni per garantirne la sostenibilità nel medio e lungo termine.
Marcello Garzia
Presidente Fasi