Si è aperta una nuova fase politica nel nostro Paese e una riflessione sul nostro sistema sanitario è,
forse, necessaria. Lo sappiamo tutti e ne siamo, giustamente, orgogliosi del nostro Servizio Sanitario Nazionale, uno degli ultimi al mondo con copertura universale, gratuito (o quasi), poiché finanziato tramite la tassazione generale, ma sappiamo anche che se non ci attiviamo subito per salvarlo è destinato all’estinzione.
I sintomi sono tanti: l’invecchiamento della popolazione, l’aumento in alcuni casi impressionante delle malattie croniche, il costante sotto finanziamento, l’aumento dei costi (in particolar modo dei farmaci e delle nuove tecnologie biomediche), ma il vero e proprio shock che si sta palesando è la scarsità o, per meglio dire, l’assenza di personale sanitario e soprattutto medico. Un problema che abbiamo più volte sottoposto all’attenzione ma che, purtroppo, ancora non è entrato con la dovuta attenzione nell’agenda dei governi che finora si sono succeduti.
Eppure il problema non è difficile da capire: se ogni anno in Italia si laureano circa 100.000 nuovi medici, perlopiù bravi se non bravissimi, e ne fai specializzare solo 8.000, si produce una massa di personale altamente qualificato che non avendo alcuna possibilità di accedere ai ruoli del SSN, non gli resta altro che mettersi in fila ad attendere e, per sbarcare il lunario, cercare qualche lavoro precario oppure, ed è quello che sta avvenendo ad un ritmo impressionante, emigrare in massa in altri Paesi europei o extraeuropei, regalando in questo modo professionisti la cui formazione è stata interamente pagata dai contribuenti italiani o dalle loro famiglie. Lo stesso dicasi per ricercatori, ingegneri, informatici, ecc.
Se a questo aggiungiamo la decisione di far andare in pensione anticipata decine di migliaia di medici e operatori sanitari (quota 100), il risultato è l’impossibilità materiale di tenere aperti interi reparti ospedalieri o di di dare assistenza di base a migliaia di cittadini italiani.
Si è tentato con qualche “pannicello caldo” di far fronte all’emergenza richiamando in servizio i medici in pensione, arruolare i medici militari o far lavorare in reparto ad alto rischio, come i pronti soccorsi, neolaureati con scarsa esperienza sul campo. È chiaro che tali provvedimenti non sono altro che palliativi.
Qualche spericolato “opinion leader” ha evocato una specie di “Spectre” formata da associazioni imprenditoriali, fondi sanitari integrativi e compagnie assicurative che drenerebbero risorse a danno dell’interesse collettivo, una posizione francamente autolesionistica, mentre sarebbe molto più intelligente “usare” questa capacità di raccolta contrattuale per perseguire finalità di salute pubblica generale. Il tema dei fondi sanitari non va visto in contrapposizione a quello del SSN, potenziare il secondo pilastro, infatti, non significa penalizzare la sanità pubblica.
“La vera sfida – come riportato nell’audizione alla Camera dei Deputati da Confindustria – non è rincorrere vecchi dibatti fra prestazioni integrative e sostitutive ma di favorire con decisione uno sviluppo ordinato e trasparente di una vera sanità integrativa di natura no profit che dialoghi sul piano delle politiche sanitarie con le istituzioni del SSN per contribuire in modo complementare alla tutela della salute, così come prevede l’articolo 32 della Costituzione”.
Marcello Garzia
Presidente Fasi