Il 54° Rapporto Censis descrive una situazione sociale tragica dell’Italia. L’acuirsi della pandemia ha portato gli italiani a dichiararsi “meglio sudditi che morti”. Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente. Lo Stato è il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo. Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro. Infine, e non poteva essere altrimenti, quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla introduzione della pena di morte nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani).
Da questi numeri emerge un Italia irriconoscibile. L’Italia degli slanci sociali, della solidarietà, della convivenza civile, sembra cancellata dalla recrudescenza della pandemia. Se a tutto questo aggiungiamo l’astrusità della politica, lo scaricabarile tra governo e opposizione su temi fondamentali per il futuro della nostra comunità, si capisce perché gli italiani ormai si guardano in cagnesco e ognuno è tentato di pensare al proprio orticello. In questo senso il dibattito sul MES sanitario che permette di ottenere prestiti ad un tasso favorevolissimo( stiamo parlando di circa 37 miliardi di euro destinati all’Italia), a patto che siano esclusivamente utilizzati per far fronte ai costi diretti o indiretti provocati dalla pandemia da Covid-19, è attualmente uno dei peggiori esempi al riguardo. Da più parti politiche la motivazione che si oppone all’utilizzo del Mes è che non possiamo essere i primi a chiederlo, perché equivarrebbe ad uno “stigma”, sinonimo di marchio, di segno distintivo negativo, per l’Italia. Nella realtà sul Mes si stanno delineando le future alleanze politiche e il destino dell’attuale governo, come abbiamo potuto vedere in questi giorni. Alla fine si è deciso di non decidere in attesa di un altro “showdown” in Parlamento o a Palazzo Chigi. In tutti i casi, e qualunque sia l’obiettivo politico, il punto fondamentale è che l’Italia di oggi, in piena recessione economica e in piena pandemia, non può permettersi il lusso di isolarsi politicamente dall’Unione Europea (come invece stanno seriamente rischiando di fare la Polonia e l’Ungheria), in una fase peraltro contestuale di delicata definizione dei tempi e modi di attuazione del Recovery Plan che, detto per inciso, prevede nelle bozze governative che girano più o meno 9 miliardi per la sanità, rispetto ai 209 miliardi complessivi, meno del 5%! Sono argomenti complicati che gli italiani non capiscono ma che vedono alla prova dei fatti. Gli ospedali presi d’assalto, le file infinite per i tamponi, tutta la discussione sui vaccini e sulla loro somministrazione. In questa situazione come si fa a dire di no a fondi che potrebbero essere immediatamente utilizzati per investimenti negli ospedali, nella medicina di base, nelle nuove tecnologie? Quale migliore occasione per mettere finalmente in cantiere una riforma basata sulla collaborazione tra sanità pubblica e privata che la pandemia ha impietosamente portato sotto i riflettori?
Marcello Garzia
Presidente Fasi