Il welfare aziendale rappresenta una strategia win-win in cui a beneficiarne sono tutti: lavoratori, datori di lavoro, territorio, collettività. L’incremento indotto della soddisfazione lavorativa infatti genera un dividendo in termini di maggiore produttività.
di Fabio Pengo, Vicepresidente Fasi
Nel 2021 il Fasi ha istituito un proprio Centro Studi che supporta con analisi empiriche e metodo scientifico la governance nelle decisioni strategiche, quantificandone l’impatto a medio-lungo termine sulla sostenibilità economico-finanziaria del Fondo. La ricerca qui presentata è un esempio delle attività svolte dal Centro Studi Fasi.
Il welfare aziendale è “l’insieme delle iniziative, servizi e prestazioni non monetarie, che l’azienda mette a disposizione dei propri dipendenti per migliorarne il benessere e la qualità della vita, tanto lavorativa quanto privata” (Ministero del Lavoro).
Alcune iniziative integrano i servizi di protezione sociale erogati dal welfare state, come assistenza sanitaria e previdenza integrativa, decurtati dalla spending review iniziata nel 2011. Altre invece si propongono di trattenere i collaboratori più competenti per non disperdere il know how aziendale o di attrarre nuovi talenti. Altre ancora mirano a migliorare il benessere individuale e a favorire un più adeguato equilibrio tra tempi di vita privata e lavorativa, con effetti positivi sul clima lavorativo.
L’adozione di un piano di welfare aziendale si rivela una strategia vincente sia per l’azienda, che ne trae un vantaggio competitivo reputazionale (reputation and employer branding), sia per i dipendenti in termini di benessere soggettivo con ricadute sul territorio in cui opera l’azienda e quindi anche sulla collettività residente. Grazie alla trasversalità degli effetti, il welfare aziendale rappresenta un “abilitatore” del benessere equo e sostenibile (BES) di un territorio.
In base ai risultati di un’indagine conoscitiva (SWG Zurich), 1 HR manager su 2 indica la produttività come primo effetto delle iniziative di welfare; oltre 1 su 3 il miglioramento del clima aziendale; 1 su 10 lo percepisce come strumento operativo delle politiche di responsabilità sociale dell’impresa.
I millenials 18-34 anni mettono la copertura sanitaria in cima ai loro desiderata (1 su 2) e non la previdenza integrativa per via della loro scarsa lungimiranza.
La letteratura empirica sul tema del legame tra welfare e produttività del lavoro (Harward 2011, MIT 2022; Oxford, 2023) dimostra che l’investimento in welfare ha dei ritorni economici e il canale di trasmissione degli effetti passa attraverso l’incremento dell’happiness dei lavoratori che, a sua volta, impatta sugli outcome aziendali come la qualità del lavoro svolto, la produttività, il fatturato (Grafico).

*Il delta sulla produttività del lavoro stimato dagli studi empirici oscilla nel range 10-30% in più rispetto a una situazione di assenza di pratiche di welfare.
Per innalzare la produttività delle imprese italiane e ridurre il gap con la media dei G7 (vedi articolo pubblicato sul N.3/4) dal 2016 il governo ha deciso di sfruttare anche lo strumento della tassazione agevolata sulle somme destinate al welfare aziendale, a condizione però che le stesse vengano legate a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione. Questo incentivo1 ha portato ad una proliferazione di contratti che prevedono gli obiettivi di produttività nei dispositivi di welfare.
I dati di maggio 2024 confermano tale tendenza: dei 12.172 contratti attivi depositati presso il Ministero del Lavoro, l’80% si propongono di raggiungere obiettivi di produttività.