“Il Welfare aziendale è un fattore competitivo e Confindustria è impegnata a promuoverlo diffondendo le ‘best practice’ esistenti in Italia”. Così Carlo Robiglio, presidente Piccola Industria e vice presidente di Confindustria, si è espresso recentemente alla presentazione del rapporto “Welfare Index Pmi”.

E’ fuori dubbio, infatti, che il welfare aziendale stia assumendo una connotazione molto innovativa e, per certi aspetti, sia diventato un vero e proprio investimento per le imprese. Una realtà di cui si parla poco, molto spesso, sottovalutata se non, addirittura, ignorata dagli organismi parlamentari e governativi che dovrebbero operare per lo sviluppo di questo importante fattore di crescita e progresso.

Nel campo imprenditoriale e manageriale, invece, l’attenzione è motivata dal fatto che ci si rende sempre più conto dell’importanza del ruolo sociale che essi rivestono sul territorio e le comunità in cui operano. Ma, c’è anche un aspetto per così dire più prosaico: la consapevole certezza che il welfare aziendale rappresenti un “vantaggio competitivo” perché permette di creare un ecosistema virtuoso che innalza la produttività e la “reputation” aziendale. Anzi, secondo i dati contenuti nel Rapporto Index, i sistemi di welfare adottati nelle imprese, rappresentano una vera leva competitiva che permette rilevanti aumenti di prestazione nei mercati di riferimento.

Il Fasi, sotto quest’aspetto, è un indicativo esempio di quanto emerso nel Rapporto Index. Siamo un Fondo contrattuale, forniamo servizi e prestazioni sanitarie integrative ai manager dipendenti da imprese, non abbiamo nessuno scopo di lucro e supportiamo il Servizio Sanitario Nazionale nel garantire livelli di cura e diagnosi all’altezza dei tempi e dei progressi della scienza medica.

Come ha detto il Vicepresidente di Confindustria: “ Oggi il tema non è più l’opportunità fiscale, ma il beneficio in senso ampio che deriva dall’adottare modelli di welfare che permettano alle imprese di essere vive, utili e responsabili per l’intera comunità italiana”.

C’è un altro aspetto, infine, che è spesso dimenticato dagli analisti e esperti di welfare: il ruolo essenziale di “driver” che la qualità di vita e di lavoro in azienda ha per attrarre e trattenere i talenti manageriali e professionali. I giovani d’oggi che studiano e si formano, spesso all’estero, quando entrano nel mondo del lavoro non guardano più solo allo stipendio, ma cercano un “ambiente” compatibile con le loro esigenze sia materiali sia “ideali”. Un ecosistema, appunto, competitivo ma anche virtuoso, in cui integrarsi al meglio. Vogliono insomma un posto di lavoro in cui se ci si ammala si possa disporre di strumenti integrativi nella cura, una previdenza che consenta a fine carriera livelli di reddito tali da condurre una vita dignitosa, una formazione continua per sostenere gli elevati livelli di concorrenza dei mercati in cui ci si confronta. Insomma “best practice di welfare” per una vita sociale e lavorativa che valga la pena di essere vissuta.

Luca Del Vecchio

Vicepresidente Fas