Non hanno avuto molto risalto sulla stampa italiana i risultati diffusi, nei giorni scorsi, dall’Istituto Nazionale per la salute e il contrasto alla povertà. Eppure si prestano a considerazioni che dovrebbero far riflettere sia la classe politica sia gli stessi cittadini italiani. Intanto dal rapporto denominato “Atlante delle diseguaglianze”, emerge come queste ultime crescono a un ritmo mai registrato prima. Sul fronte della salute il divario aumenta sensibilmente e il disagio sociale è direttamente proporzionale a quello fisico e sanitario. Detto in altri termini l’indagine dimostra scientificamente che tra gli uomini italiani chi possiede un livello d’istruzione più basso ha, rispetto agli altri, tre anni di vita in meno di fronte a sé. Se donna, l’attesa di vita è di un anno e mezzo in meno. Lo stesso dicasi per le malattie più gravi come i tumori: gli italiani meno abbienti hanno una probabilità di morire superiore al 35%, percentuale che scende, di poco, per le donne, 24%, ma pur sempre considerevole.

Al Sud, il disagio sociale, si vive anche peggio poiché si aggiungono il cattivo funzionamento dei servizi sanitari e la scarsa prevenzione che fanno perdere un ulteriore anno nell’attesa di vita.

«Il fatto – ha spiegato Walter Ricciardi, direttore dell’ Osservatorio salute dell’ Università Cattolica – è che in Italia aumentando le diseguaglianze socio-economiche crescono anche quelle rispetto alla salute, con le popolazioni del sud due volte svantaggiate perché ai danni sociali si sommano quelli di servizi inefficienti e di screening che in oncologia non raggiungono il 30% della popolazione mentre al Nord sfiorano il 100%».

Nel corso della presentazione della ricerca, tuttavia, alcuni intervenuti, facendo riferimento a un recente studio della società Deloitte, hanno messo in luce che la qualità dell’assistenza sanitaria, incide, in realtà, solo per il 15-25% sulla salute, il resto è da addebitare all’esposizione dei cittadini all’inquinamento ambientale e allo “status” sociale. A maggior ragione quando si vive nelle grandi aree metropolitane dove le diseguaglianze sono più marcate.

Il ministro della Salute, Giulia Grillo, intervenuta alla conferenza ha, invece, posto l’accento su un diverso approccio al tema: “Quello delle diseguaglianze – ha affermato – non è un problema Nord-Sud, ma è una questione di equità sociale. E’ inutile parlare di stili di vita corretti se poi non si hanno i soldi per fare un’alimentazione sana”.

A questo proposito, il Ministro ha proposto alle Regioni di inserire nel nuovo Patto per la salute, misure a favore dell’equità, a suo giudizio più che mai necessarie, se si andrà verso un regionalismo differenziato, in discussione al Parlamento, che potrebbe allargare la forbice delle diseguaglianze invece che ridurla.

Un impulso in questa direzione potrebbe venire dalla maggiore collaborazione tra sanità pubblica e sanità integrativa, oggetto di studio della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati ascoltando anche noi del Fasi e tutti i protagonisti del settore.

Luca Del Vecchio

Vicepresidente Fasi