“Un quadro economico compromesso”, così l’ultimo rapporto del Centro Studi Confindustria, fotografa lo stato dell’economia italiana. In particolare la produzione industriale, dopo il recupero rilevato in ottobre (+1,2%), torna a diminuire in novembre (-2,3%), a causa della contrazione della domanda conseguente alle misure di contenimento introdotte in Italia e nei principali partner commerciali. Ad abundantiam, inoltre, le prospettive per il quarto trimestre restano ancora negative, come mostra l’andamento della fiducia tra gli imprenditori manifatturieri e tra le famiglie, in netto peggioramento specialmente nelle componenti relative alla situazione corrente e alla attese sul contesto economico nei prossimi mesi. In questo contesto il mancato coinvolgimento del mondo produttivo, come ha detto a più riprese il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi: “ E’ la più grande carenza dell’azione di governo che ormai stiamo riscontrando da troppo tempo”, rimarcando il fatto che “anche negli interventi adottati per fronteggiare gli impatti economici e sociali della pandemia, abbiamo dovuto quasi sempre reagire a cose fatte, senza consultazioni o verifiche preventive”.
In questo scenario a tinte fosche, si inserisce la gestione sanitaria della pandemia da Covid-19 (con gli ospedali sotto pressione, la mancanza di personale, le carenze nell’assistenza territoriale e le difficoltà dei medici di base a seguire i pazienti), che ha messo a nudo uno dei limiti degli italiani: la troppo dipendenza dal sistema pubblico per la tutela della salute. Un problema che si trascina da anni e che pesa maggiormente sulle tasche dei cittadini più fragili. Infatti, in media, un italiano sborsa 691 euro l’anno in spese mediche effettuate al di fuori del Servizio Sanitario Nazionale (visite specialistiche, diagnostiche, dentistiche, interventi chirurgici programmati, ecc.), spese che un lavoratore dipendente o un dirigente aderente ad un Fondo sanitario integrativo copre per oltre il 40%, come nel caso del Fasi. Secondo un recente rapporto effettuato dal Censis, gli italiani ultrasessantacinquenni spendono per curarsi ogni anno 1436 euro, di cui ben 1338, di tasca propria. Per far fronte a queste spese devono affrontare delle rinunce e intaccare il proprio patrimonio nel caso, soprattutto, dei malati cronici. A riprova del fatto, e se ce ne fosse ancora bisogno, che il livello medio della copertura sanitaria al di fuori del sistema pubblico in Italia è inferiore di almeno un terzo rispetto agli altri paesi europei. Un gap che è necessario colmare. Durante la pandemia quasi il 33% degli italiani ha dovuto rinviare prestazioni sanitarie, a volte indispensabili. Nell’ultimo anno i ricoveri ospedalieri, extra Covid, si sono ridotti del 40% e non sono stati effettuati 13,3 milioni di accertamenti diagnostici e 9,6 milioni di visite specialistiche. Rinunce che, paradossalmente, hanno penalizzato, ancora una volta e maggiormente, i malati più fragili e più soggetti al rischio di contagio. Durante il primo lockdown, è stato calcolato, che circa un terzo delle prestazioni sopra richiamate sono state rinviate proprio da quest’ultimi un po’ per paura e anche dall’evidente carenza di strutture atte ad ospitarli in sicurezza. Come andiamo ripetendo da anni, la lezione che si ricava da questi dati è la necessità di arrivare a un sistema in cui sanità pubblica e sanità integrativa collaborino strettamente per garantire agli italiani livelli di assistenza adeguati alla media europea.

Luca Del Vecchio
Vicepresidente Fasi