La seconda “ondata” che ci aspettavamo, ma che durante l’estate abbiamo in qualche modo quasi esorcizzato, alla fine è arrivata e sta creando, forse, più preoccupazioni dell’inizio della pandemia. Nessuno di noi, obiettivamente, era preparato a quello che poi è successo a nostre spese. Affrontare l’emergenza è stato un ruolo immane anche per il Governo che ha fatto fronte con quello che aveva a disposizione. Purtroppo, non siamo usciti da quella fase, si continua a ragionare come allora, senza una prospettiva di ripartenza necessaria al rilancio strutturale del nostro Paese, che ha accumulato ulteriori ritardi su Pil e produttività. La curva dei contagi segna nuovi record tutti i giorni e le persone sono molto meno disponibili a sacrifici, sono anche più impaurite di prima e, per certi aspetti, esasperate. E’ lo stesso effetto che si ha di fronte ad una malattia grave, la prima crisi si supera in qualche modo, la ricaduta getta nello sconforto. Le famiglie, le imprese che si erano rimesse in qualche modo in carreggiata, che hanno mandato i figli a scuola con la mascherina, che hanno riaperto gli stabilimenti investendo in protocolli di sicurezza, vedono che l’incubo ricomincia peggio di prima. Le file chilometriche ai “drive-in” per il tampone, le Asl che non rispondono al telefono, le regioni che invocano il coprifuoco, le terapie intensive degli ospedali semi collassate, insomma, come ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi: “ Ci assale una sensazione di sconforto per un paese in confusione. Gli italiani che hanno dimostrato senso civico e di sacrificio meritano chiarezza e competenza”.
Nell’ultimo DPCM del Governo (che ormai si susseguono a ripetizione), si è cercato, ancora una volta, di trovare un compromesso, un bilanciamento tra salute e tenuta dell’economia, un compito oltremodo difficile se si tiene conto delle polemiche interne alla maggioranza di governo che hanno portato alla non decisione sull’accesso ai fondi europei del Mes: 37 miliardi disponibili subito ad un tasso d’interesse particolarmente vantaggioso da spendere proprio in quella sanità che è in affanno. I soldi del Mes sono necessari poiché non si può parlare di post pandemia senza una riforma profonda del sistema sanitario. A far data dal 2010 la sanità italiana è stata vittima di una verticale operazione di “spending review”: in tre anni sono stati tagliati oltre 3 miliardi di euro col risultato che abbiamo una spesa sanitaria pubblica pro-capite tra le più basse d’Europa. Senza il supporto della sanità integrativa, che ha svolto un ruolo fondamentale fin dall’inizio della pandemia, non sarà possibile recuperare l’enorme arretrato che si è accumulato e che ha comportato, secondo uno studio Censis e dell’Università Cattaneo, la sospensione di oltre 12,5 milioni di esami diagnostici; 20,4 milioni di esami del sangue; 14 milioni di visite specialistiche e oltre 600.000 ricoveri. Questo è lo stato dell’arte e sul tavolo resta ancora la stesura dei progetti per spendere i finanziamenti del Recovery Fund, legati a quelle riforme strutturali che il mondo produttivo chiede da tempo.
Marcello Garzia
Presidente Fasi