Sono costati tanto al comparto industriale italiano i due mesi trascorsi di emergenza sanitaria. L’ultima nota congiunturale del Centro Studi di Confindustria registra una perdita di oltre il 50% della produzione industriale. Il report, post lockdown, segnala che il “recupero” non sarà affatto veloce, poiché le famiglie continueranno ad essere prudenti nei consumi e le imprese dovranno smaltire le ingenti scorte accumulate. E siccome i guai non vengono mai da soli, il secondo trimestre, secondo Confindustria, mostrerà una dinamica di Pil e produzione industriale ancora più negativa. Tra aprile e giugno, infatti, i dati ci dicono di attenderci una caduta del prodotto interno lordo di “almeno 8 punti percentuali”. Il calo della produzione industriale sarà del 40% in meno. Scenari da tregenda, ma altamente realistici purtroppo. “E’ necessario – sottolineano gli industriali – fare di tutto per sostenere adeguatamente imprese e famiglie, l’alternativa è un impoverimento generale e duraturo che riporterà i livelli di ricchezza indietro di quarant’anni”.
Il monito di Confindustria non si basa solo sulle analisi del suo Centro Studi, ma tiene conto anche delle indicazioni di Eurostat, emerse in un contesto caratterizzato dallo shock improvviso causato dalla diffusione del Covid 19.
In buona sostanza possiamo dire che se anche le ottimistiche previsioni di una dinamica ripresa produttiva in maggio e giugno dovessero avverarsi, la produzione industriale tenderà a diminuire a un ritmo più del doppio rispetto a quello registrato nel primo trimestre. La ripartenza, infatti, non potrà che essere molto lenta e graduale, nonostante la fine del lockdown, perché le abitudini di spesa degli italiani sono profondamente cambiate e difficilmente torneranno in tempi brevi a quelle precedenti. Inoltre, come dicevamo all’inizio, le imprese hanno accumulato ingenti scorte che dovranno essere smaltite prima che il ciclo produttivo possa tornare a ritmi normali. Di conseguenza la maggioranza delle imprese, piccole e grandi, lavorerà a regime ridotto almeno per i prossimi sei mesi.
In questo scenario bisognerebbe ragionare su un mix di misure, come auspicato da manager e imprese, che passi anche attraverso trasferimenti diretti di fondi da parte dello Stato ad aziende e cittadini, come d’altronde già sperimentato in altri Paesi europei e negli Usa. Ma l’intervento più immediato resta senza dubbio lo sblocco veloce dei debiti contratti dalla Pubblica Amministrazione a imprese e cittadini. Una somma quantificata in oltre 53 miliardi, la quota maggiore in Europa, che darebbe ossigeno e metterebbe in circolo quel denaro cash fondamentale per la ripresa economica.
Occorre guardare avanti e fuori dal solo contesto nazionale. Si è parlato di un piano di investimenti europeo di almeno 1500 miliardi di euro, obiettivo forse poco sostenibile in questa fase, ma gli economisti calcolano che già un piano di 500 miliardi di investimenti per i prossimi tre anni sarebbe in grado di contribuire alla crescita dell’Italia e dell’Eurozona per, rispettivamente, 2,5 e 1,9 punti percentuali. Se poi al piano europeo si affiancasse un grande piano di investimenti nazionali allora, forse, la nostra economia potrebbe reggere il prossimo urto che ci aspetta. Nel campo della sanità e del welfare, un modello di tutela allargato e integrato fra componente pubblica e privata sembra, forse, la migliore strada da percorrere.
Luca Del Vecchio
Vice Presidente Fasi