Nel messaggio di fine anno agli italiani il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sottolineato per l’ennesima volta che l’Italia non ha alcuna possibilità di uscire dalla crisi di futuro che la tiene bloccata, se non ritrova la fiducia in se stessa. Una fiducia che deve riguardare prima di tutto i giovani e il ruolo che il Paese affida ad essi chiedendo ed offrendo loro responsabilità ad ogni livello. Sembra banale dirlo, ma senza la spinta delle nuove generazioni difficilmente qualsiasi paese, per quanto forte economicamente, riuscirà a trovare la energie per abbandonare le sicurezze del passato e affrontare le sfide che il cambiamento ci mette davanti. La fotografia dell’Italia appena entrata nella terza decade del XXI secolo appare ferma, immobile, un fotogramma color seppia. Siamo avviluppati in una crisi politica che appare senza sbocco, tendiamo a chiuderci nel nostro piccolo mondo mentre tutt’attorno le cose cambiano. Questo indebolimento quantitativo s’intreccia ogni giorno che passa a quello qualitativo: la presenza delle nuove generazioni nel mondo del lavoro e nella classe dirigente del Paese risulta ancora più ridotta rispetto anche al loro decremento demografico.
Il tasso di occupazione nella fascia d’età 15-34 è tra i più bassi in Europa. In quella successiva, la percentuale di chi ha un lavoro continua ad essere di circa dieci punti percentuali sotto la media UE. Non stiamo facendo esercizi di statistica o analisi sociologiche, stiamo parlando di fatti che incideranno anche sul nostro Fondo e sul suo futuro. Secondo i dati di una ricerca presentata al Forum 2019 della Pubblica amministrazione, l’età media del dirigente pubblico italiano è superiore ai 55 anni e risulta aumentata di due anni rispetto al 2007. Nel privato le cose non vanno meglio. Tutte le analisi effettuate convergono su un unico dato: la preoccupante carenza di manager giovani rispetto ai principali paesi avanzati. L’età media europea, infatti, è attorno ai 45 anni, mentre quella italiana supera di gran lunga i 50 anni.
Bassa è anche la presenza di giovani docenti nelle scuole e nelle università italiane: i dati del Report Ocse “Education at a glance 2019”, riportano che l’Italia è uno degli stati con maggior quota di professori con più di 50 anni (quasi il 60%) e la più bassa di insegnanti under 35. Come ho detto a più riprese per mantenere in equilibrio il nostro Fasi e continuare a fornire un’assistenza sanitaria di qualità elevata, serve che il Paese riparta con una rinnovata spinta di fiducia nelle nuove generazioni e nella creazione di nuove opportunità di lavoro. Un piano ambizioso e credibile che metta al centro la costruzione di un nuovo modello sociale e di sviluppo.