C’è una strana correlazione nella sanità italiana: guardando i numeri, negli ultimi tre mesi dell’anno gli italiani si ammalano meno, ma, se si guardano le liste d’attesa, nello stesso periodo, queste si allungano. A prima vista sembra un paradosso, nella realtà, invece, il motivo c’è e non è molto confortante. Il dato nazionale è chiarissimo: si passa, infatti, dai 189,6 milioni di prestazioni ambulatoriali del primo trimestre ai 170,5 milioni degli ultimi tre mesi dell’anno. Un saldo netto di quasi venti milioni di prestazioni in meno. Queste rivelazioni sono state rese note dall’ultimo rapporto, appena completato, di Polis Lombardia, l’Istituto che supporta le politiche sanitarie della Regione lombarda. A Milano, ad esempio, nei primi mesi dell’anno, il 93% dei pazienti del sistema sanitario pubblico, riesce a fissare un appuntamento per una visita medica entro i tempi indicati nella ricetta, e cioè dai 30 ai 90 giorni. Negli ultimi mesi la percentuale scende di oltre tre punti, nonostante le prestazioni offerte siano inferiori. Se prendiamo, ad esempio, le prestazioni oculistiche, si legge nel report, esse passano da oltre 17 mila del primo trimestre alle 11 mila dell’ultimo trimestre dell’anno. Idem per le visite ortopediche, scese del 26%, le cardiologiche del 37%, le neurologiche del 33%, le pneumologiche del 39% e le dermatologiche del 50%.

La spiegazione è tutta “contabile”, quando finiscono i soldi, si chiudono le prestazioni. Gli ospedali, offrono i loro servizi ai pazienti, finchè hanno i soldi. Quando questi finiscono, e ciò accade puntualmente verso la fine dell’anno, chiudono le agende per le prenotazioni e ai pazienti italiani è detto, da gentili segretarie, che “la lista d’attesa è molto lunga ed è meglio trovare un’altra soluzione”.

Questo avviene perché le Regioni rimborsano le cure erogate ai pazienti in convenzione, in conformità a un budget definito per singola struttura e, negli ospedali pubblici, i direttori rischiano di perdere il posto in caso di “sforamento” del budget stabilito a priori. Negli ospedali privati convenzionati, una volta raggiunto il tetto prefissato, semplicemente non sono più rimborsati e, quindi, rischiano di rimetterci in proprio.

Questo meccanismo genera delle criticità: una programmazione che metta in corrispondenza i bisogni di salute dei pazienti con i soldi a disposizione; il controllo della spesa pubblica e l’appropriatezza degli interventi. Criticità che, purtroppo, incidono anche sulle casse dei Fondi sanitari integrativi, come il Fasi, che se non affrontati in fretta, potrebbero mettere a rischio la loro stessa sostenibilità economica. Nel frattempo e, in attesa, che tutta la materia sia in qualche modo riformata e resa compatibile con i tempi attuali, ci impegniamo come Fasi a continuare a fornire al meglio delle nostre possibilità, il servizio che già garantiamo ai nostri iscritti, in cambio chiediamo una maggiore autodisciplina e razionalità nella scelta delle prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche. La sostenibilità del Fondo, dipende dai comportamenti responsabili e appropriati di tutti noi. Il nostro obiettivo resta sempre lo stesso: la salute dei nostri iscritti prima di tutto. Facciamo in modo che quest’impegno resti possibile.

Marcello Garzia
Presidente Fasi

Luca Del Vecchio
Vice Presidente Fasi