L’approvazione da parte del Governo del cosiddetto “Decreto Crescita”, ha spazzato via, si spera definitivamente, la “querelle” che si era aperta sullo status dei Fondi di assistenza integrativa (di cui abbiamo già parlato). Il decreto, infatti, ha sancito la qualifica di “enti non commerciali” lasciando, pertanto, invariate le problematiche concernenti, gli aspetti fiscali e gestionali che caratterizzano l’assistenza sanitaria integrativa in Italia. Il tira e molla sulla “natura” dei Fondi sanitari andava avanti da oltre due anni, allorquando la riforma riguardante il terzo settore aveva, di fatto, cancellato la qualifica “non commerciale”, mettendo a serio rischio lo sviluppo dell’intero comparto integrativo. Da allora la norma è stata messa in freezer, pur incombendo come la famosa spada di Damocle, e limitando i progetti e i programmi di sviluppo di tutti gli attori operanti nell’ambito sanitario integrativo. Le forze politiche più avvertite avevano segnalato che modificare lo status degli Enti e Fondi assistenziali era una “follia tecnica”, ma la proposta, sotto la spinta di una retorica fondamentalista, era andata avanti fino al voto del Parlamento. E’ talmente palese, infatti, che i fondi e le casse di assistenza non hanno nulla a che fare con società e imprese, concentrando le loro attività, senza fini di lucro, nell’assistenza socio sanitaria.  La possibilità che diventassero enti di natura commerciale avrebbe comportato costi fiscali e di gestione notevolmente maggiori che, in ultima istanza, sarebbero ricaduti sugli oltre 10 milioni di assistiti. Insomma una vicenda che ha portato il mondo dell’assistenza sanitaria integrativa, ancora una volta e inutilmente, sotto i riflettori in uno scenario, come abbiamo più volte rimarcato, in cui complice l’invecchiamento complessivo della popolazione, la spesa sanitaria è destinata ad aumentare, secondo le stime più autorevoli, di oltre il 2% l’anno, fino a raggiungere la soglia dei 180 miliardi di euro nel 2024. Spesa che in misura crescente gli italiani dovranno pagare di tasca propria, per via dei tagli al welfare effettuati negli ulti dieci anni, e che, invece, un’assistenza sanitaria integrativa potenziata e regolamentata potrebbe sensibilmente ridurre.