Una discreta polemica si è aperta riguardo al tema dei Fondi sanitari integrativi, a proposito dell’articolo 14 contenuto nel cosiddetto “Decreto crescita”, che il Governo si appresta a varare. Gli attacchi, in maggior parte provenienti da settori politici caratterizzati da furore ideologico, riguardano il riconoscimento, contenuto nel decreto, della natura non commerciale dei Fondi sanitari. Facendo salvo il diritto di ciascuno a esprimere la propria opinione (questa è la democrazia), va altresì osservato che spesso questo tipo di attacchi rivela una scarsa conoscenza e approfondimento degli argomenti trattati. In estrema sintesi le argomentazioni dei “contestatori” sembrerebbero essere che, riconoscendo una natura non commerciale ai Fondi, si garantirebbe loro la possibilità di usufruire di agevolazioni fiscali a discapito del Servizio Sanitario Nazionale.

Nella realtà nulla di più sbagliato. Intanto, una premessa doverosa: i Fondi sanitari, come il nostro Fasi, sono Enti costituiti in associazioni o fondazioni, senza scopo di lucro, che raccolgono risparmio mediante accordi tra le parti sociali (imprese, associazioni manageriali e sindacali), al solo scopo di erogare prestazioni di assistenza sanitaria. I fondi sanitari contrattuali gestiscono, per libera volontà delle parti sociali che li hanno costituiti, l’assistenza sanitaria integrativa per oltre 11 milioni di persone con una “mission” precisa e determinata: assicurare agli iscritti un’assistenza al meglio delle disponibilità, che integri e completi ciò che il SSN, per tantissime ragioni, non riesce a fare.

Nel caso del Fasi (nato dall’accordo tra Confindustria e Federmanager) l’obiettivo è stato definito fin dall’inizio, cioè oltre quarant’anni fa, secondo il quale il datore di lavoro s’impegna a versare soldi aggiuntivi, rispetto allo stipendio contrattuale, per offrire una maggiore tutela al manager in forza all’Azienda, a fronte di impegni di chi lo rappresenta. Nel nostro Statuto, come negli altri Fondi contrattuali, è previsto tra le finalità principali, quella di riversare tutti i contributi che riceviamo, salvo i costi di gestione, in prestazioni sanitarie e d’assistenza.

Va da se che tutto questo non ha niente a che fare con alcuna dimensione commerciale.

Rispetto all’immotivata affermazione, secondo la quale, le agevolazioni fiscali sono a discapito del Servizio sanitario, essa non tiene in considerazione un fatto molto semplice e cioè: le agevolazioni esistono perché ci sono aziende e datori di lavoro che generano profitti (oltre che posti di lavoro), dai quali dedurre, appunto, le agevolazioni fiscali. È sottinteso che se l’azienda non avrà profitti, essa non usufruirà dei benefici fiscali pur avendo versato al Fondo.

Di conseguenza, è lampante il fatto che, com’è stato nel caso del Fasi, la scelta di costituire un Fondo è prima di tutto una scelta di politica sociale basata su attese di crescita e di occupazione.

La verità, e dispiace dirlo, è che la polemica verso i fondi sanitari contrattuali è, purtroppo, alimentata dall’assenza di un ordinamento legislativo che stabilisca, una volta per tutte, ciò che è “no-profit”, perché non genera utili per i soci, e ciò che è “profit”, in quanto genera risorse da distribuire tra i soci.

Il punto politico, quindi, non è escludere la natura non commerciale dei Fondi contrattuali, quanto riconoscere la profonda differenza rispetto ad altre forme e, conseguentemente, regolamentare il funzionamento gestionale in coerenza con questo principio. Infine, è necessario sapere che i primi dieci Fondi operanti in Italia, per volumi raccolti (e il Fasi è in pole position), sono autogestiti e nati prima delle legislazioni che li regolamentano, per volontà delle parti sociali.

Marcello Garzia
Presidente Fasi