Gli ultimi dati disponibili ci dicono che in Italia le persone over 65 anni, sono circa 11 milioni, di queste, oltre il 30%, più o meno tre milioni, sarebbero ancora in grado di lavorare, a patto che il lavoro ci fosse e la salute lo consentisse, ovviamente.

Parlare oggi di un ruolo attivo degli anziani nella società assume un aspetto prioritario se si considera che l’invecchiamento mondiale della popolazione e il calo della natalità sia fonte di stress per tutti i sistemi di welfare, in modo particolare per quelli occidentali e del libero mercato, a ricco e medio reddito pro capite. Dieci anni fa le persone al mondo con più di 60 anni erano 766 milioni; nel 2030 si calcola che saranno oltre un miliardo e 400 milioni. Una crescita esponenziale che non promette nulla di buono se non saranno prese misure adeguate a livello planetario. Per rimanere nell’ambito statistico, la Commissione Europea calcola che, entro il 2050, il tasso medio di dipendenza degli anziani si aggirerà attorno al 50%. In altre parole, se oggi ci sono circa 4 persone attive per ogni persona over 65 anni, nel 2050 saranno due.

L’allungamento della vita è, sicuramente, un fatto positivo per tutti noi, ma è solo la faccia positiva della medaglia. Il lato “B”, invece, rappresenta il rovescio negativo: aumento delle patologie croniche (cardiocircolatorie, diabete, ipertensione, malattie polmonari, solo per dirne qualcuna), che l’attuale sistema sanitario non riesce a contenere, spostando il peso e i costi sulle famiglie che fanno fatica a mantenere un equilibrio intergenerazionale.

La sanità integrativa, la sua diffusione, è sicuramente un fattore d’aiuto per garantire a un’ampia fascia di cittadini e lavoratori l’accesso alle cure. E’ necessario, però, che la politica si faccia carico del problema, aumentando, ad esempio, la defiscalizzazione, i controlli stringenti sull’uso del denaro pubblico e sull’evasione fiscale.

I bisogni delle persone anziane sono bisogni urgenti e devono trovare delle risposte immediate e adeguate. Sarebbe auspicabile che l’anziano fragile fosse preso in carico senza interruzioni della terapia, che la medicina fosse portata a domicilio, favorendo la telemedicina e le tecniche di cura che oggi la tecnologia consente. Insomma, che il malato acuto non fosse semplicemente riconsegnato alla famiglia, una volta superata l’emergenza, gravandola così di responsabilità, spese, conseguenze economiche e sociali, che non dovrebbero essere di loro competenza.

Qualcosa si sta facendo, ad esempio in Lombardia , attraverso nuove forme di sperimentazione e di soluzioni, ma è ancora una goccia nel mare dei bisogni non soddisfatti.