Si moltiplicano i segnali di allarme da parte di sindacati, ordini di categoria e società scientifiche sulla carenza di medici e infermieri in Italia. Gli ultimi dati disponibili indicano una mancanza d’internisti che, nel giro di dieci anni, potrebbe raggiungere le 48.000 unità. La Federazione delle Aziende Sanitarie (Fiaso) e l’associazione dei dirigenti Anno-Assomed, calcolano che anche in presenza di un totale sblocco del turnover (cosa peraltro più che improbabile dato i deficit strutturali di tante regioni italiane), non si riuscirà a compensare nel prossimo quinquennio i dipendenti in uscita tra pensionati, prepensionati e fuggitivi verso i più remunerativi impieghi privati e pubblici all’estero.
Le cose non vanno meglio per quanto riguarda i medici di famiglia. Nel prossimo decennio saranno oltre 33.000, secondo le previsioni elaborate dalla Fimmg (il sindacato dei medici di base), le uscite dalla professione. Alcune discipline soffrono in modo particolare la penuria di rincalzi: chirurghi, pediatri, anestesisti, ginecologi e medici di pronto soccorso, perché sono le più esposte alle denunce del cittadino e con pochi sbocchi di carriera. L’ultimo caso giunto agli onori della cronaca riguarda un concorso per medici di pronto soccorso, bandito dall’azienda ospedaliera e universitaria di Parma, andato deserto per mancanza di concorrenti. Anche al Sud, un tempo serbatoio di specialisti col camice bianco, lo stesso ritornello: a Matera un bando per reclutare 14 professionisti da distribuire tra pronto soccorso, radiologia e medicina generale non ha visto candidati.
Oltre alla scarsità di risorse e investimenti nella sanità pubblica, esiste un altro fenomeno detto “imbuto formativo”. Molto spesso, infatti, i laureati che arrivano alla specializzazione e la portano a termine sono insufficienti rispetto alle necessità riscontrate. Le borse di studio costano alle casse pubbliche, e le Regioni in difficoltà non possono permettersi di ampliarne il numero.
Detto in altri termini, i laureati ci sono e, quindi, il problema non è causato dal numero chiuso all’ingresso nelle facoltà, ma restano ai blocchi di partenza poiché non riescono a entrare nelle scuole di specializzazione che costano e sono in numero limitato.
Stesso discorso per i medici di base che per diventare tali con l’abilitazione, devono spartirsi 1.100 borse di studio all’anno. Secondo il segretario nazionale della Fimmg, Silvestro Scotti, tra cinque anni 14 milioni di italiani resteranno senza l’assistenza dei medici di famiglia e l’unica soluzione che chiedono al governo è quella di togliere i vincoli del dopo laurea e di valutare la possibilità di mandare in corsia gli specializzandi dell’ultimo anno, soluzione però che presenta aspetti problematici dal punto di vista legale e che non potrebbe essere praticabile. Il problema è all’attenzione del ministro Giulia Grillo che ha raccolto il grido d’allarme, dando ragione alle associazioni professionali, riconoscendo che “il sistema va rivisto e occorre dare continuità tra la laurea e l’inizio dell’attività lavorativa”.
Nel frattempo le aziende sanitarie stanno adottando “soluzioni tampone” per sbloccare l’impasse con contratti a tempo o rivolgendosi a cooperative di medici. Resta che al prossimo concorso delle scuole di specializzazione si presenteranno in 16.400 (dati Anaao) per 6.200 contratti di tirocinio. Oltre 10.000 giovani medici resteranno nel purgatorio in attesa del paradiso prossimo venturo.
Marcello Garzia
Presidente Fasi