“L’industria 4.0 non è un fenomeno che si ferma nella fabbrica, ma ha un impatto straordinario sul sociale, sui territori, sulla collettività, nel mondo della ricerca e della formazione e, ovviamente, con la politica e con le relazioni sindacali”. Con queste parole, Alessandro Perego, direttore scientifico dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano, ha condensato i lavori del Convegno, svoltosi nei giorni scorsi, nel capoluogo lombardo, per la presentazione dell’ultimo Rapporto eseguito dai ricercatori del Politecnico.

Se ne parla poco, ma il progetto Industria 4.0 è un fenomeno strategico per il paese e impone una fortissima connessione tra imprese, sindacati e parti sociali per sviluppare innovazione a tutti i livelli. Un fenomeno che interessa anche noi del Fasi e il sistema sanitario italiano, se non ci limitiamo a osservare il presente e guardiamo, invece, a una prospettiva per le generazioni future.

Infatti, se l’obiettivo è aumentare l’occupazione per mantenere e accrescere il welfare nella società e nei luoghi di lavoro, compresi i livelli di assistenza sanitaria integrativa al Servizio sanitario Nazionale (il famoso “secondo pilastro” per la cui realizzazione stiamo spendendo da anni le nostre energie), non dobbiamo limitare il progetto Industria 4.0 alla sola connettività digitale per le macchine e le fabbriche, ma è necessario impegnarsi per connettere la conoscenza e le competenze.

Come affermato nelle high lights del Convegno milanese, con Industria 4.0 si è riportato in primo piano nel dibattito politico e sindacale, il tema della manifattura e dell’innovazione e si è saputo riaffermare il principio che “produrre bene e in modo competitivo vuol dire creare ricchezza, occupazione e sviluppo per le imprese e per i territori”.

La sfida, fortemente voluta da Confindustria e da Federmanager, con l’avvio e la messa a regime di Industria 4.0, necessita di un impegno generale, di cui ci sentiamo parte integrante, di tutti gli stakeholder: produzione, parti sociali, ricerca per sostenere il nostro Paese nella competizione globale. Non bastano, infatti, i progetti e i percorsi delle singole imprese, ma serve il lavoro di un “ecosistema” costituito da università, centri di ricerca e d’innovazione. In questa direzione, appare indispensabile la necessità di un dialogo nuovo con e tra le parti sociali, un grande sforzo in termini di formazione e di sviluppo, anche per il management, individuando percorsi in grado di portare nelle aziende “Operatori 4.0”, indispensabili per trasformare il potenziale della nuova fabbrica digitale in competitività sui mercati internazionali.

L’analisi elaborata dai ricercatori del Politecnico di Milano, infine, sfata un altro mito e cioè che l’innovazione riduce i posti di lavoro. Al contrario, essi dicono che con la digitalizzazione si riducono le mansioni ripetitive, mentre crescono quelle cognitive; si sposta cioè l’attenzione dei lavoratori e dei dirigenti, sul valore delle persone, sull’intelligenza per i prodotti e per i processi. In altre parole l’innovazione cambia, non riduce i posti di lavoro e li cambia perché è il lavoro che sta cambiando in tutte le sue dimensioni. “ Dobbiamo essere consapevoli – è stato detto – che il 65% dei bambini che frequentano le scuole elementari farà lavori di cui oggi non conosciamo neanche il nome”. Sta a noi la capacità di costruire nuove tutele sanitarie e sociali per andare di pari passo con le nuove forme di professionalità che s’intravedono all’orizzonte.

Luca Del Vecchio

Vice Presidente Fasi