Una buona notizia arriva dall’industria farmaceutica italiana, dopo anni d’inseguimento ha finalmente superato la Germania con una produzione di 31,2 miliardi di euro, contro i 30 dei tedeschi. Un successo, proclamato con orgoglio durante l’ultima Assemblea di Farmindustria, svoltasi nei giorni scorsi, dovuto al boom dell’export che ha sfiorato i 25 miliardi. Un fatto che ha importanti ricadute per l’economia del nostro Paese: maggiore occupazione soprattutto per i giovani laureati e diplomati; più investimenti che creano valore sul territorio; sinergie con l’indotto e le università; sviluppo degli studi clinici che fanno crescere la qualità delle cure e portano al Servizio Sanitario Nazionale, notevoli risorse aggiuntive, riducendo i tempi di ricovero.

Negli ultimi dieci anni, ha rimarcato l’ufficio studi di Farmindustria, la produzione è cresciuta del 100%, grazie soprattutto alle esportazioni. Tra le Big Pharma europee, l’Italia ha segnato, infatti, il maggior incremento nelle vendite all’estero. Nella classifica per export dei 119 settori dell’economia italiana, i medicinali made in Italy, sono passati dal 57° posto del 1991 all’attuale 4°, dopo due settori della meccanica e gli autotrasporti.

Inoltre, nella classifica nazionale per export dei poli tecnologici di tutti i settori, i primi due posti appartengono all’industria farmaceutica (Lazio e Lombardia). In assoluto il farmaco rappresenta il 55% delle esportazioni hi-tech nazionali.

Gli occupati nelle imprese farmaceutiche hanno raggiunto, lo scorso anno, quota 65.400 (93% a tempo indeterminato). Nell’ultimo triennio il fronte occupazionale è cresciuto a un ritmo di 6.000 assunzioni ogni anno. Secondo, poi, i dati forniti dall’Inps, dal 2014 al 2016 gli addetti under 35 sono aumentati del 10% rispetto al più 3% del totale dell’industria e servizi. Moltissime le donne occupate, il 42% a fronte del 25% del totale industria. Circa la metà delle donne riveste un ruolo apicale (manager e quadri). Una cifra che diventa maggioranza (52% di donne) nel campo della ricerca di base e clinica.

Ma, il dato forse, che ci interessa più da vicino, riguarda l’attesa di vita. Dal 1978 a oggi, infatti, gli italiani hanno guadagnato circa dieci anni di vita in più, grazie all’impegno nella prevenzione, all’attenzione agli stili di vita e ai progressi della scienza medica. Fattori che rivestono un’attenzione totale da parte del Fasi, impegnati come siamo a offrire ai nostri associati la migliore assistenza e le migliori cure possibili.

Se cresce l’attesa di vita, diminuisce di conseguenza la mortalità. Per le prime cause di decesso degli anni ’80, secondo l’analisi di Farmindustria: la mortalità è calata del 64% per le malattie del sistema cardiocircolatorio, del 47% per le patologie del sistema respiratorio, del 63% dell’apparato digestivo e dell’87% dal 1985, anno in cui fu diagnostica la sindrome da HIV/Aids.

Ma, se la ricerca privata italiana tiene il passo, come abbiamo visto, con gli altri paesi industrializzati, non altrettanto si può dire di quella pubblica. In concomitanza con i dati di Farmindustria, sono stati diffusi anche quelli della ricerca pubblica da parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Siamo, purtroppo, ancora in fondo alla classifica europea. Infatti, la spesa per R&S finanziata dal governo in percentuale al PIL è rimasta stazionaria (0,5% del Prodotto Interno Lordo) con un lieve decremento di 374 milioni di euro investiti.

In particolare il Cnr ha subito una riduzione delle risorse da 682 a 533 milioni di euro.

 

Marcello Garzia

Presidente Fasi