Gli ultimi dati disponibili del Ministero del Lavoro indicano che le misure di welfare sono presenti nel 52,4% dei contratti integrativi, mentre una percentuale ancora più ampia è la quota di aziende che attuano progetti di welfare autonomi. Questi dati indicano che aziende e lavoratori si adoperano per dare una risposta a una gamma molto vasta di bisogni che non trovano soddisfazione nel servizio pubblico. Non solo sanità e previdenza integrativa, ma anche sicurezza, conciliazione nel rapporto vita-lavoro, assistenza agli anziani, inclusione dei soggetti più deboli, sostegno ai giovani attraverso la formazione e l’istruzione. In altre parole le priorità sociali, politiche ed economiche del nostro Paese. Il recente Rapporto Welfare Index ci dice che in almeno sei delle dodici aree ( Previdenza integrativa, Sanità integrativa, Servizi di assistenza, Polizze assicurative, Conciliazione vita e lavoro e sostegno ai genitori, Sostegno economico ai dipendenti, Formazione per i dipendenti, Sostegno all’istruzione di figli e familiari, Cultura e tempo libero, Sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale, Sicurezza e prevenzione degli incidenti, Welfare allargato alla comunità), in cui è classificato il welfare aziendale si è passati dal 25,5% del 2016 al 45% del 2019.
Ma, la cosa più significativa è che si è definitivamente rotta la barriera dimensionale che caratterizzava finora la sclerosi dello sviluppo del welfare. Negli ultimi tre anni, infatti, le imprese minori (da 10 a 50 addetti) attive nel welfare sono più che raddoppiate passando dall’11 al 25%.
Queste cifre hanno un impatto enorme nel sistema sociale italiano se si pensa che la spesa sociale complessiva, includendo accanto alle aree classiche (sanità, previdenza e assistenza) anche l’istruzione e la cultura, è di 709 miliardi di euro, di questi il 77% di spesa pubblica e il 23% di spesa privata (164 miliardi).
Solo che mentre la componente pubblica è sostanzialmente ferma da anni, la spesa diretta delle famiglie è in forte aumento, più 7% nel 2018. Quest’ultima si divide in due settori: il welfare collettivo e aziendale (circa 21 miliardi) e la spesa diretta delle famiglie (143 miliardi) di gran lunga preponderante. Le ragioni le conosciamo e le denunciamo da anni: inefficienza, in quanto l’accesso individuale ai servizi, soprattutto sanitari, è sotto gli occhi di tutti, ma anche l’iniquità poiché trattandosi di bisogni incompressibili, la spesa incide più pesantemente sulle famiglie più povere che impegnano per i servizi di welfare il 22,8% del proprio reddito familiare netto, a fronte di una media generale del 18,6%.
Risulta chiaro da questi dati che la protezione sociale in Italia può tornare a crescere se si alimenta la spinta di nuovi protagonisti tanto dell’offerta (industria del welfare), quanto dell’aggregazione e del finanziamento della domanda (welfare aziendale). In questo contesto è necessario riconfigurare il servizio pubblico italiano, mantenendo le caratteristiche di universalità e solidarietà che ancora lo qualificano come eccellenza mondiale. Una necessità che il Fasi fin dalla sua costituzione persegue e che trova riscontro nei servizi aggiuntivi che offriamo ai nostri iscritti. In altri termini ridefinire il perimetro delle prestazioni gratuite per allargare il sostegno alle fasce più deboli della popolazione è una scommessa non solo per lo Stato italiano ma anche per le imprese, come più volte ribadito da Confindustria, che fanno del welfare un progetto distintivo dell’azienda, coinvolgendo i lavoratori e concentrando le risorse sulle iniziative che rispondono ai loro bisogni principali.
Luca Del Vecchio
Vice Presidente Fasi