Secondo i dati Istat, relativi al mese di luglio, si registra una “brusca discesa” dell’attività industriale. La tendenza al ribasso si evidenzia anche su base trimestrale. Per la prima volta l’indice corretto per gli effetti del calendario è sceso dell’1,8% rispetto a giugno 2016. Il segno negativo riguarda tutti i comparti, dai beni strumentali a quelli di consumo. Gli esperti parlano di un calo “assai superiore” alle attese. Per la verità, il trend negativo riguarda anche il resto d’Europa dove la produzione fatica a reggere il passo: nella zona euro (dati Eurostat) è calata dello 0,8% e dello 0,7% nella Ue a 28. La variazione è stata negativa anche in Germania, dell’1,8% come in Italia.

Sulle cause di questa improvvisa frenata è aperto il dibattito che ancora non ha trovato una sintesi.

Due le opinioni contrapposte, una riconduce all’integrazione economica e valutaria europea e l’altra alla fragilità della struttura industriale italiana e alla perdurante mancanza di una politica industriale omogenea e strategica.

Di converso il mercato del lavoro, nell’analisi trimestrale dell’Istat, festeggia il pieno recupero dei livelli antecedenti, la pesantissima crisi economica dello scorso decennio. In cifra assoluta, nel secondo trimestre 2018, si contano 205 mila occupati in più rispetto al dato di dieci anni fa e il tasso d’occupazione (15-64 anni non destagionalizzato) è tornato allo stesso livello del 2008.

Insomma il fossato è stato colmato finalmente, anche se nel frattempo l’occupazione è stata, per così dire, ridisegnata. “ Negli ultimi dieci anni – dicono i professionisti dell’Istat – si sono manifestate profonde trasformazioni nella composizione dell’occupazione sia in termini di soggetti coinvolti, sia riguardo alle caratteristiche dell’occupazione”. L’invecchiamento della forza lavoro, su cui ha inciso anche il calo della popolazione giovanile, il prolungamento dei percorsi di studio e l’aumento dell’età pensionabile, ha avuto effetti differenti sull’origine della crisi e della successiva ripresa in atto.

Altro dato positivo riguarda il lavoro femminile che conta mezzo milioni di donne occupate in più rispetto al 2008, un dato in controtendenza rispetto agli uomini più duramente colpiti (circa un milione di occupati in meno tra il 2008 e il 2013 soprattutto nell’industria), dalla congiuntura negativa e il recupero, degli ultimi cinque anni, non è stato sufficiente a colmare il gap rispetto al 2008 (il saldo è negativo per 380.000 unità).

Proseguendo nella lettura del Rapporto Istat, si scopre che la “geografia” della ripresa occupazionale non è uniforme. Infatti, nel Centro-nord la ripresa economica è cominciata prima e ha portato al recupero delle perdite occupazionali, dovute alla crisi, già nel secondo trimestre del 2016, mentre nel Mezzogiorno (dove il calo degli occupati ha riguardato complessivamente 700.000 unità), il saldo rispetto alla pre-crisi risulta ancora ampiamente negativo.

Resta, purtroppo, il dato sulla cosiddetta “precarizzazione” del lavoro. Negli ultimi dieci anni, balza agli occhi, l’intensità della parabola del tempo parziale; gli occupati part-time, infatti, sono aumentati di quasi un milione a fronte di una diminuzione di poco inferiore di quelli a tempo pieno.

Aumentano i contratti a termine in quei settori di attività economica (alberghi e ristorazione, servizi alle imprese, sanità e servizi alle famiglie) mentre, al contrario, diminuiscono gli occupati a tempo pieno nei settori industriali e manifatturieri e, anche, nella pubblica amministrazione.