Le analisi del Fasi

L’invecchiamento della popolazione non è una minaccia remota ma una sfida già in atto che chiama in causa tutto il sistema Italia, inclusi i fondi sanitari integrativi. Il Fasi, fondo di assistenza sanitaria dei dirigenti delle aziende produttrici di beni e servizi, oggi primo fondo italiano per contributi raccolti e prestazioni rimborsate, è nato nel 1977 su iniziativa delle Parti Sociali come ente paritetico tra Confindustria e Federmanager. La sua missione è rimborsare ai dirigenti volontariamente iscritti, in servizio e in pensione, il costo delle prestazioni sanitarie nel rispetto dei principi di mutualità, solidarietà intergenerazionale, non selezione del rischio. Partendo dagli scenari generati dalle proiezioni demografiche, andremo a investigare cosa succederebbe all’Italia e alla sostenibilità economico-finanziaria del Fasi se le tendenze demografiche osservate oggi proseguissero in futuro. Il Centro Studi, di cui il Fasi si è dotato a partire dal 2021, sotto la guida della professoressa Francesca G.M. Sica ha progettato un modello di previsione statistico-econometrico per monitorare la sostenibilità economico-finanziaria della spesa sanitaria in un orizzonte di 10 anni. È uno strumento operativo che aiuta la Governance a prendere decisioni strategiche fondate sui dati, valutando l’impatto di variazioni di tariffe e contributi sull’avanzo/disavanzo e sul patrimonio netto, unitamente agli effetti dell’esposizione del fondo a rischi esogeni.

Cosa emerge dalle proiezioni demografiche ufficiali?

Un’Italia che sta attraversando una transizione demografica inedita con una popolazione sempre meno numerosa, più vecchia, più rarefatta nelle aree interne (territori distanti dai servizi essenziali: sanità, scuola, trasporto). I 21,7 milioni di abitanti al primo censimento 1861 sono aumentati fino al massimo storico di 60,6 milioni del 2014 per poi decrescere nel 2025 a 58,9 che diventerebbero 54,8 milioni nel 2050. Ma non è questione solo di numeri assoluti, ma anche di composizione. I nuclei unipersonali (36,2%) sono la tipologia familiare più diffusa e raggiungerebbero il 40% tra vent’anni, riducendo la dimensione media familiare a 2,1 componenti dai 2,2 attuali. L’età media

di 46 anni, nel 2050 supererà i 50 anni e lo squilibrio generazionale peggiorerà: ogni 100 persone in età lavorativa, ci saranno oltre 70 over 65 anni; l’indice di dipendenza strutturale, tutti gli “inattivi” 0-14 più over 65 sugli attivi, passerà da 61 persone a carico di 100 attivi a oltre 80 nel 2050; le persone in età lavorativa saranno 7,5 milioni in meno.

Per capire il meccanismo attraverso cui la demografia impatta sull’economia si fa riferimento al PIL potenziale, la massima quantità di beni e servizi che un’economia può produrre senza innescare inflazione, dato lo stock di capitale, la popolazione in età lavorativa, il tasso di attività e, infine, quel “residuo” statistico indice del progresso tecnico e organizzativo. Una forza lavoro sempre più scarsa sottrae punti percentuali alla crescita del Pil, generando il cosiddetto “dividendo demografico” negativo. Leggendo questi indicatori chiave Istat con quelli Fasi emerge che la quota di over 65 anni sul totale assistiti ha già superato un terzo, un’incidenza che secondo le proiezioni ufficiali l’Italia registrerebbe nel 2050. Ma perché mai un fondo sanitario dovrebbe fare previsioni sulla popolazione assistita e sulla sua composizione per età? La risposta è nella sostenibilità economico-finanziaria della spesa rimborsata che è inversamente correlata con l’invecchiamento: più alta la quota di anziani, maggiore la spesa, meno sostenibile la mission di rimborso.

Un fondo sanitario è sostenibile quando è in grado di finanziare le uscite per rimborso di prestazioni e i costi di gestione con le entrate derivanti dai contributi degli iscritti, senza intaccare nel medio-lungo periodo il patrimonio netto. Grazie alla solidarietà intergenerazionale, i pensionati, top spenders, versano un contributo sottodimensionato rispetto alle prestazioni compensato dal saldo positivo dei dirigenti in servizio. Cruciale il ricambio generazionale, ma purtroppo l’età media di ingresso al Fasi è in aumento dai 35-39 del 2000 ai 45-49 anni.