E’ un dato di fatto incontrovertibile che oggi la sanità pubblica è pressata tra la necessità di contenere la spesa e quella di far fronte a una domanda di salute crescente. Tutti i dati a disposizione convergono che in Italia, nei prossimi anni, la spesa sanitaria complessiva crescerà a un tasso annuo del 2,2%. Nel 2024, la spesa pubblica raggiungerà i 124 miliardi di euro, con un incremento annuo dell’1,3%, mentre la spesa privata aumenterà del 4,4%, arrivando a toccare i 56 miliardi, di cui 50 di “solventi”, 4 di assicurazioni private e 2 di fondi sanitari integrativi, secondo una ricerca compiuta e resa nota recentemente  dalla società Ernest & Young Italia. Nelle conclusioni, ancora una volta, i ricercatori invocano un nuovo modello di salute che faciliti la collaborazione tra tutti gli attori del “sistema salute” ( sanità pubblica, assicurazioni e fondi integrativi) per migliorare la qualità della vita  in modo sostenibile, facendo leva anche sul potenziale del “ big data in health” e delle nuove tecnologie, in particolare della telemedicina, avendo sempre al centro la persona e il suo benessere. C’è da notare che ormai le persone hanno un ruolo sempre più attivo nel gestire la propria salute e la prevenzione ( in questo senso il Fasi con i suoi programmi di screening preventivi si è sempre posto all’avanguardia), adottando comportamenti sani in tema di nutrizione ed esercizio fisico e monitorando il proprio stato, supportati dagli strumenti tecnologici che consentono, raccogliendo i dati in un database per poi essere analizzati,  di migliorare le modalità di prevenzione, diagnosi e cura. Si calcola, infatti, che un italiano su due monitora i propri progressi sportivi e di salute con tecnologie “wearable” e applicazioni smartphone. Nel 2017 l’investimento italiano in sanità digitale è stato pari a 1,3 miliardi di euro.

Di converso, l’invecchiamento della popolazione incide, oltre che sul sistema sanitario e previdenziale, anche sul modello di organizzazione del lavoro, come ricorda in tutti i suoi report,  l’Ufficio Studi di Confindustria che stima in 44,9 anni l’età media raggiunta dalla popolazione italiana attiva nel 2017 e che questa possa salire fino a 50,2 anni nella seconda metà del secolo in corso. In alcuni settori come, ad esempio, la pubblica amministrazione e le grandi aziende, l’età media dei lavoratori impiegati è già al di sopra dei 50 anni mentre, al contempo, diminuisce la popolazione in età da lavoro: le previsioni ci dicono che in Italia nel 2040, le persone in età lavorativa saranno 31,5 milioni, in calo di 5 milioni rispetto ad oggi.

Questa situazione ha un ovvio impatto anche sulla produttività. Non a caso il cosiddetto “dividendo demografico”, cioè il contributo alla crescita economica fornito dall’aumento della popolazione attiva, è già divenuto negativo a partire dagli anni ’90 e, a condizione invariata, non tornerà positivo prima del decennio 2051-2060.

La priorità, come diciamo da tempo, è la sostenibilità del sistema per rendere le conseguenze di una popolazione sempre più anziana meno drammatiche. Le risposte sono, in primo luogo, lavorare più a lungo e meglio, in secondo, lavorare di più tutti. In Italia il tasso di occupazione femminile è inferiore del 14,3% rispetto alla media UE e quello dell’occupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni è più basso del 17,9%, proseguendo con questo trend non solo sarà oltremodo difficile garantire il servizio sanitario nazionale universalistico così come lo conosciamo, ma anche mantenere il livello di prestazioni e qualità che i Fondi sanitari integrativi di tipo contrattuale, come il Fasi, riescono a garantire ai propri associati.

Luca Del Vecchio

Vice Presidente Fasi