
L’Italia procede a fatica, con passo lento e incerto e l’epidemia da coronavirus potrebbe, speriamo di no, acuire ancora di più la situazione. A confermarlo i dati Istat su come si è chiuso il 2019 sul fronte economico e dell’occupazione. Se non si interviene con urgenza e determinazione con un’inversione di marcia, imboccando una direzione chiara per lo sviluppo avanzato del nostro Paese, sarà molto difficile, uscire dalla tagliola, determinata dalla bassa crescita economica e dalle ampie diseguaglianze sociali, a cui sembra condannarci il combinato disposto tra alto debito pubblico, crescenti squilibri demografici, fragilità formative e inefficienze del mercato del lavoro. Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha descritto molto bene i pericoli a cui andiamo incontro e le misure necessarie da prendere prima di subito: “ Come abbiamo spiegato al presidente del Consiglio, è necessario e urgente un intervento compensativo per fronteggiare l’arretramento della domanda privata. Ricordiamo un numero. Noi esportiamo 550 miliardi all’anno. Di questi, 450 vengono dalla manifattura, che non può lavorare solo con lo smart working. Il contagio da coronavirus non sembra fermarsi, anzi il picco ancora è lontano dall’essere raggiunto. In termini economici è come aver subito gli effetti di un conflitto mondiale. Per cui sono necessari provvedimenti shock sia in termini di prevenzione del contagio che di carattere economico”.
La realtà non aspetta, l’economia non aspetta. Le cifre uscite negli ultimi giorni relative alla decrescita economica sono preoccupanti: ha iniziato l’Istat con il dato sul Pil dell’ultimo trimestre dello scorso anno: – 0,3%. Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha proseguito avvisando il governo che le stime sulla crescita economica nel 2020 dovranno essere riviste al ribasso e bisogna ancora quantificare l’effetto “coronavirus” sulle imprese e le attività commerciali. Last but not least sono arrivate le cifre sulla produzione industriale : è tornata a scendere nel 2019, dopo cinque anni, con un calo dell’1,3% e l’Ufficio parlamentare di bilancio ha certificato che il Pil di quest’anno sarà uguale a quello dell’anno passato e cioè più 0,2% con un calo della metà di quanto previsto nella legge di bilancio.
Sembrano solo cifre statistiche ma, in realtà, incidono e molto sulla nostra qualità di vita, sulla nostra salute, sul nostro avvenire. Indebitamento pubblico e invecchiamento della popolazione, associati alla disoccupazione soprattutto giovanile, impattano in modo concreto anche sul nostro Istituto e su tutte le forme di welfare, sanitario e previdenziale, in quanto vanno a ridurre ulteriormente le possibilità di investimento nei processi individuali e collettivi che possono dare nuova spinta al processo di sviluppo. Gli interessi su debito e spesa previdenziale e sanitaria con una crescente popolazione anziana, non sono insostenibili di per sé, ma rischiano di farci collassare se diventa più debole la forza lavoro. Confindustria e Federmanager, insieme a sindacati e associazioni produttive, lo stanno dicendo da tempo occorre un pacchetto di misure capace di dare ossigeno e ottimismo. Un decreto che aiuti le imprese ad investire, che riapra i cantieri, che liberi i nostri imprenditori dalla burocrazia paralizzante. Altrimenti rischiamo di rimanere impantanati nella palude del giorno per giorno, delle polemiche politiche, della stagnazione. Come dicevo all’inizio, la realtà non aspetta.