
Sono passati solo tre mesi dall’annuncio della Corte dei Conti che ratificava un attivo di 312 milioni di euro per il bilancio della sanità italiana. Un sospiro di sollievo attraversò la Penisola; anni di tagli, di chiusure di piccoli ospedali e ambulatori, garze e cerotti introvabili, non sarebbero più mancati, così come le lenzuola e i cuscini. Un decennio di spending rewiew, così battezzata dal governo Monti (in inglese of course), finalmente alle spalle. Per Asl e ospedali un nuovo inizio, conti in rosso azzerati, norme stringenti per gli appalti, le famose siringhe che sarebbero costate uguali dalle Alpi a Canicattì. Insomma una nuova era cominciava. Poi il risveglio: qualcuno ha passato ai giornali, in questi giorni, un documento top secret del ministero della Salute in cui si svela che solo nelle aziende ospedaliere italiane c’è un buco, anzi una voragine di un miliardo e mezzo di euro ripartito tra 42 ospedali sui cento sparsi per il Belpaese. Altri nove hanno i conti in ordine ma non garantiscono i livelli essenziali di assistenza varati solo qualche mese fa dall’attuale Governo. Spulciando il documento “segreto” si scopre che la Campania detiene il record delle perdite con un buco di oltre 350 milioni, di questi 102 sono imputabili al solo Cardarelli la cui gestione ha riempito le cronache di Napoli con pazienti lasciati nei corridoi, topi e scarafaggi in libera uscita nei corridoi e nelle camerate. A un’incollatura del Cardarelli, il complesso ospedaliero romano San Camillo-Forlanini, dove il buco è di 257 milioni. Medaglia di bronzo per la Sicilia con 231 milioni. In altre parole tre regioni su venti generano perdite per oltre la metà del deficit ospedaliero nazionale. Al nord le cose non cambiano di molto, otto ospedali della Lombardia sommano un rosso di 216 milioni. Il nosocomio “Città della Salute” di Torino, da solo, affossa i bilanci con 163 milioni di perdite. Com’è stato possibile? Semplice: i numeri non mentono, negli ultimi dieci anni le perdite accumulate da Asl e ospedali sono passate da 5,7 miliardi a un attivo di circa 400 milioni. I vari ministri che si sono succeduti alla guida del dicastero hanno motivato i progressi con la lotta senza quartiere agli sprechi e occhiuti controlli sulle spese necessarie. Nessuno però ha ricordato che nello stesso arco temporale le addizionali regionali sull’Irpef hanno avuto un’impennata del 59%, lievitando da un gettito di 7,4 miliardi del 2007 a uno di 11,4 miliardi dell’anno corrente. In valore assoluto una media di 158 euro di aumento di tasse per ogni singolo contribuente italiano: si è tamponata la falla aumentando le tasse. Il gioco delle tre carte applicato ai conti sanitari.
I trucchi contabili non sono rimasti senza conseguenze: i tagli effettuati hanno colpito soprattutto il personale sanitario (medici e infermieri) e i farmaci necessari per le terapie. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, basta farsi un giro nelle corsie degli ospedali, a furia di non sostituire medici, tecnici e infermieri che vanno in pensione, nei nosocomi si aggira sempre di più una popolazione in camice bianco dello stesso colore dei capelli.
Questo, però, non vuol dire che la lotta agli sprechi e alle malversazioni debba finire. Uno studio dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali, eseguito non molto tempo fa, ha messo a confronto quattro grandi ospedali simili nelle prestazioni offerte; il risultato è stato che le spese di riscaldamento, lavanderia, mensa aumentano anche di tre volte da un nosocomio all’altro, in tutti e quattro aumentano le assunzioni di personale amministrativo mentre medici e infermieri diminuiscono. A onore dell’attuale Ministro, Beatrice Lorenzin, bisogna dire che si è battuta per inserire una norma nell’ultima legge di stabilità che obbligava i responsabili degli ospedali italiani, con un rosso accertato pari al 7% del bilancio, a predisporre piani di rientro triennali, pena la perdita della poltrona di direttore generale. Circa due mesi fa, però, la Consulta ha accolto un ricorso della Regione Veneto, motivando la sentenza col fatto che la quantificazione degli sfondamenti di spesa va accertata insieme alle Regioni. Così, come nel gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza.